lunedì 10 dicembre 2007

CNA


L’esposizione allestita dal gruppo artistico Ca’ de Art presso la CNA di Ravenna, che rappresenta il 4° appuntamento itinerante della serie “I lunari dell’arte” a cura di Ilaria Siboni con il patrocinio del Comune e della Provincia[i], vuole essere in primis occasione per tirare le somme e rendere visibile la produzione artistica attuale dei sei artisti che compongono tale sodalizio.

Osservando i lavori di Battistini, Bottazzi, Brunelli, Gardini, Pagnani e Petrosillo, siamo condotti nel pensare a come - seppur ognuno con un linguaggio stilistico differente dettato dalla propria formazione artistica - siano vari gli elementi e le motivazioni che legano o meglio che accomunano tali personalità in un unico gruppo, sia su un piano ideale, sia su un piano prettamente realizzativo.

Sappiamo ormai, già dalle collettive precedenti, che tra gli scopi teorici prefissati da Ca’ de Art, oltre all’intento di “sublimare la simbiosi tra personalità artistiche differenti per formazione”- direi non tanto per provenienza visto che in linea generale tutti hanno attraversato momenti fondamentali d’apprendimento in terra di Romagna[ii] – vi è la volontà di “usufruire di luoghi non usualmente consoni ad ospitare arte”, rendendosi così “protagonisti degli spazi da vivere e da adattare”. Assistiamo, così, all’inserimento della contemporaneità artistica da parte di un sodalizio ben organizzato all’interno di luoghi storici nel ravennate.

Ciò sicuramente li accomuna dal punto di vista organizzativo e mentale, ma c’è dell’altro.

Infatti, tali artisti nutrono un vivo e nitido interesse per quell’interpretazione della realtà circostante basata sul confronto diretto con la tradizione artistica novecentesca.

Non di rado, è dunque possibile scorgere nelle loro opere diversi riferimenti appartenenti a quel percorso che partendo dalle Avanguardie, attraversa i momenti piu’significativi della Storia dell’Arte mutando e rinnovandosi nel tempo fino ai giorni nostri, riuscendo in tal modo ad evolvere il proprio mezzo espressivo senza mai perdere il filo della continuità storica.

Assieme a questo sguardo su ciò che già è presente – cioè il confronto con la pittura italiana ed europea – va sottolineato il prorompere di una spinta del tutto contemporanea la quale incita ad uscire dal supporto pittorico.

A tal riguardo, quando gli artisti di Ca’ de Art si cimentano in opere dipinte[iii], l’abbondanza dei materiali di vario genere applicati su di esse, le cornici incise e lavorate che prolungano il lavoro sulla tela, il caos di immagini delineate in superficie con appiccicati collages di varie forme e dimensioni, realizzano nella maggior parte dei casi veri e propri rilievi su quadro che tendono intenzionalmente ad uscire dal limite del supporto e a disporsi nello spazio circostante.

Vediamo ora quali sono i contributi personali che i singoli artisti apportano a Ca’de Art.

Due sono gli elementi principali che danno vita e significato al lavoro pittorico di Pagnani: l’interesse per la rappresentazione del paesaggio, che da sempre è motivo dominante della sua ricerca, ed il fatto di vivere a stretto contatto con opere tra le più rappresentative dell’Informale Italiano ed Europeo. Sin dall’inizio della sua attività artistica, infatti, lo ritroviamo ad elaborare una propria visione intima e soggettiva del paesaggio ravennate, a lui circostante, attraverso la lezione di maestri storici senza i quali l’arte contemporanea non sarebbe oggi codificabile[iv].

Dal contrasto tra la visione di una Ravenna torbida – per “una sua sotterranea natura acquatica e limacciosa dentro la quale i monumenti del passato sprofondano a causa della subsidenza”- e una Ravenna luminosa a tratti abbagliante dei mosaici e dei metalli delle strutture industriali, prende il via la ricerca vera e propria dell’artista, cioè quel percorso che egli non chiama scelta, ma “destino”.

Si tratta di masse o nuclei abbozzati, irregolari, caotici, sistemati casualmente sulla superficie della tela come “luoghi fisici e metamaterici” in cui l’esecuzione informale – ed espressionista - amalgama in un unico blocco plasmabile “caos e archeologia, norma e arbitrio, fossilizzazione e commento al graffito urbano…….”, utilizzando, da qui in poi, sabbie dell’adriatico e prodotti delle industrie petrolchimiche di Ravenna. Frammenti visivi, dunque, segni derivanti da un’occhiata istantanea ai graffiti urbani, particolari estratti dalla caotica velocità contemporanea.

Da questi “strutturati flash d’astrazione”, approdiamo oggi – sempre nel rispetto di una visione intima e personale – a qualcosa di più riconoscibile e definito: ecco infatti che, nel proseguire la ricerca di forme espressive contemporanee per la realizzazione paesaggistica, Pagnani continua sì ad utilizzare materiali come sabbie e vernici, che sullo stucco possono sgretolarsi e perdersi, ma elabora anche soggetti a lui più vicini, raccontati mediante un ritratto geografico informale.

Quasi sempre visionarie, oniriche, in bilico tra astratto e figurativo, le architetture acquatiche o di pianura[v], siano esse navi o altre strutture, possono essere adattate oltre che a Ravenna, a qualsiasi altra città industriale di mare, mentre i toni a volte ocra, terra bruciata quasi morandiani, a volte invece lucenti e cangianti, traducono in espressione la stessa urgenza intima e poetica.

Nei dipinti di Petrosillo, invece, ciò che balza subito agl’occhi è il debito nei confronti degli studi scenografici svolti a Bologna, e della specializzazione ottenuta in grafica pubblicitaria. Da qualsiasi punto vengano osservati, resta nello spettatore la sensazione di ritrovarsi davanti ad un qualcosa in cui tutte le parti concorrono all’equilibrio e all’armonia, sia dal punto di vista cromatico che da quello strutturale. Vediamo, infatti, che all’interno di ambienti multicolori, i soggetti, anch’essi colorati, si inseriscono perfettamente dando vita a “surreali combinazioni cromatiche” vive e cangianti - forse ricordo di viaggi mediterranei - che, convivendo le une con le altre senza mai stridere, senza mai infastidire l’occhio, pongono l’accento su una dimensione fantastica ed irreale.

La stessa ricerca calibrata – utilizzata nell’attenzione per il colore - la ritroviamo anche nel modo di rappresentare le figure: queste, per merito di un linearismo grafico ben definito che circonda i volumi, si stagliano ponderatamente sullo sfondo piatto in modo netto e compiuto, mentre il movimento e la dinamicità, sempre presenti nelle opere di Petrosillo, concordano con la frenesia circostante ed affondano le loro radici nella nostra prima avanguardia storica[vi].

Ciò che a noi, però, più interessa è sottolineare come, in una visione d’insieme, l’opera dell’artista sia strutturata in modo proporzionato e corretto, come la sua composizione sia solida e precisa e come le sue esperienze precedenti siano importanti e rivelatrici.

Ritengo, inoltre, che il concetto di ricerca fantastica e irreale presente nei dipinti di Petrosillo, come accennato in precedenza, la si possa rintracciare, in un certo senso, nel modo in cui M. Chagall aspirava, attraverso il sogno, al raggiungimento di ciò che è magico e che quindi contrasta con il tedio reale[vii].

Per quanto riguarda Battistini, è arduo comprendere la sua arte senza tener conto di quanto essa sia imbevuta delle lezioni apprese durante i suoi viaggi a Roma e soprattutto a Parigi. La varietà dei soggetti raffigurati da quest’artista cosmopolita[viii] è distinta – così come nel caso di Pagnani – da una fisicità materica predominante. In tal senso“ i quadri, fabbricati per lo più in maniera artigianale, sono spesso costituiti da elementi di recupero incollati e disposti in strutture e trame evanescenti che, a volte formano la cornice del movimento e danno volto, corpo e voce a gatti, re, regine, fate, uccelli, orchi, soldatini, eroi, animali vari…… Tutte hanno un’impronta teatrale, con scene ricche di fondali, sipari e quinte”.

L’immaginario artistico, che Battistini concretizza su tela o su carta, rivela – come già abbiam visto per Petrosillo – una forte componente onirica dettata dall’inconscio, che sfocia in un’atmosfera fiabesca, da sogno[ix].

Nei propri dipinti, realizzati utilizzando collages e riassemblando materiali raccolti per strada o sulla spiaggia, sta il suo mondo “all’apparenza lontano”, riempito in modo caotico da un brulicare febbrile e sognante “che non lascia spazio al vuoto” e che si esprime nella mancanza di azione dei soggetti, nel rifiuto della profondità spaziale, nell’accostamento irrazionale di più figure appiattite che vengono a galla in superficie.

Il linguaggio utilizzato, così intenso e permeato qua e là di modi arabi e bizantini già presenti nella Scuola di Parigi di inizio Novecento, risente delle tecniche miste di G. Braque, di un gusto ornamentale vicino a quello di P. Klee e di un interesse animalesco simile a quello di F. Marc. Soprattutto non và tralasciato il fatto che nell’inconscio di Battistini vi sia “qualche sparuto e disarticolato fantasma del Dubuffet dell’Art Brut, pronto a ibridarsi con lontani frammenti di immagini urbane alla Grosz, per intenderci, un pizzico patetico – grottesco da primitivismo in versione anni ottanta, messo magari in salsa Bad Painting, come usa ancora in questi giorni……”[x]

Nel caso del ferrarese Bottazzi, invece, la ricerca artistica spazia dal campo scultoreo a quello pittorico, ricordandoci in tal modo come, già nei primi decenni del Novecento, il confine tra queste due arti si fosse fatto via via sempre più sottile fino a scomparire[xi].

Egli,“applicando il metodo dell’intaglio diretto”, realizza figure in pietra e marmo, svolgendo una ricerca nei confronti di un linguaggio che aspira a definire in termini contemporanei un’ espressione di base arcaica e primitiva che nulla vuole perdere del suo mistero, mantenendo in tal modo viva una certa essenzialità formale.

Ritengo che il riferimento più palpabile alla contemporaneità del suo percorso espressivo sia rintracciabile nella scultura cubista di A. Archipenko e di J. Lipchitz, dove le sfaccettature irregolari e le spigolosità si combinano con i fori che rendono perfettamente l’idea del passaggio tra vuoto e pieno[xii] in un contesto che esula completamente dalla dinamicità delle forme e si sposa, al contrario, con la stasi. L’energia magica invece, che rievoca miti e mondi lontani – sempre percepibile nelle opere di Bottazzi – ci riconduce a quel concetto di purificazione spirituale propria di C. Brancusi.

Il fatto poi che l’artista sia originario di Ferrara è più che rilevante se consideriamo quanto i suoi lavori su tela abbiano a che vedere con la pittura metafisica. Ciò, naturalmente, testimonia quanto il territorio da sempre influenzi la formazione di un artista.

I suoi dipinti, o meglio, rilievi su quadro, raffigurano architetture, barche, moli o esseri umani completamente circondati dal silenzio in un’ambiente sospeso, anonimo. Si tratta di un paesaggio sognato, innaturale nei suoi colori lividi e tersi, che avvolge i soggetti in un abbraccio inquieto e angosciato. Al suo interno il buio dell’eclisse rende vano il respiro di uomini e cose, implodendo in un’attesa eterna, rivelando così la spina dorsale del tempo.

La scultura di Brunelli, invece, si differenzia da quella precedente in quanto non è realizzata utilizzando materiali appartenenti alla scultura tradizionale, bensì prende vita dalla rielaborazione e dall’assemblaggio di materiali di recupero quali ferro, legno, latta, plastica[xiii]. La risultante è che il modo di operare dell’artista non consiste nell’estrarre la forma dal blocco togliendo materiale, come nel caso di Bottazzi, ma, al contrario, aggiungendolo. L’esecuzione che lo porta a compiere questi veri e propri “manufatti artistici” procede quindi per addizione e non per sottrazione.

I soggetti rappresentati da Brunelli, sulla cui originalità non si discute, siano essi santi, pesci inseriti in nature morte o anguille marinate, risultano sempre e comunque carichi di un’ironia “disincantata pervasa di riferimenti storico-sociali” che permette un’ interpretazione più ampia del loro apparente significato. In tal senso, i personaggi delle sue icone, che egli definisce santi, hanno tutti, in primis, una natura terrena[xiv] che s’avvicina ai modi attenti e partecipi di Caravaggio e di Pasolini per l’attenzione alla cruda realtà degli umili e dei vinti. Le opere successive, poi, mostrano la sua totale adesione a quel percorso della Storia dell’Arte che partendo dalle rivolte dadaiste di M. Duchamp e di K. Schwitters, attraversa la Pop Art americana di C. Oldenburg e quella europea di P. Manzoni, approdando – soprattutto per la scelta dei materiali – a quella corrente principalmente italiana che va sotto il nome di Arte Povera.

All’interno dei lavori su carta di Gardini[xv], è possibile percepire costantemente una sorta di indefinitezza e incompiutezza in grado di lasciare aperte porte ad eventuali realizzazioni future e quindi incognite.

Già nella numerosa serie di piccoli disegni che egli produce senza sosta e che fuggono visibilmente dall’idea di finito e compiuto, troviamo questa necessità di aprire al mondo, di accogliere le molteplici possibilità che potranno accadere, di annotare su questi taccuini appunti utili alla realizzazione del proprio pensiero durante il suo svolgersi nel tempo.

Lo stesso discorso vale applicato alle singole opere di più grande formato, come ad esempio i paesaggi con oggetti inseriti, nei quali gli elementi principali della composizione, sempre ben riconoscibili e in primo piano, realizzati attraverso una sorta di a-plat gauguiniano, fanciullesco ed irreale, concorrono nell’insieme a ricordarci come gli avvenimenti possano essere casuali[xvi].

Ma è nei lavori di carta realizzati in rilievo che Gardini arriva a rendere in modo esauriente la propria ragione artistica, a rivelarci il motivo del suo muoversi entro il territorio dell’incompiuto. Infatti, attraverso la fragile rappresentazione di questi oggetti di uso comune pronti a scomparire da un momento all’altro, l’artista vede la caducità della vita umana. La nostra vita è precaria, proprio come questi oggetti di carta che da un momento all’altro possono disfarsi. La loro fragilità è dunque la sua – la nostra – fragilità.

L’utilizzo di insiemi di parole come segni grafici, rintracciabili in questi lavori, sono appunti, annotazioni[xvii]indispensabili che l’artista apporta al proprio lavoro mentre opera in tempo reale. Con la scrittura l’opera si compie. Va dunque qui ravvisata una certa affinità con quelle esperienze artistiche maturate a Roma intorno agli anni ’60, rappresentate da Cy Twombly e Gastone Novelli[xviii], tenendo però presente come la scrittura di Gardini si discosti da quella disordinata e organizzata per accenni di Twombly e s’avvicini, invece, a quella più geometrica e regolare di Novelli.



[i] Le precedenti collettive si sono svolte all’interno di luoghi storici dentro e fuori Ravenna e precisamente presso:

- La Ca’ de Ven ( dal 13-04-07 al 29-04-07).

- La torre medioevale di Oriolo dei Fichi a Faenza ( dal 07-07-07 al 29-07-07).

- La villa di S. Maria in Foris (dall 28-07-07 al 22-09-07).

[ii] Sia nel modo di scegliere gli elementi da rappresentare, sia nel modo di eseguire il proprio lavoro, gli artisti di Ca’ de Art, sebbene ognuno con con le proprie differenze, mostrano una radicata appartenenza alla realtà ravennate industriale, rurale e marittima.Ciò conferma l’importanza che da sempre la geografia e il territorio rivestono sull’evoluzione visiva di un’artista.

[iii] In special modo nei casi di Bottazzi e Brunelli, i quali, essendo gia di per sè scultori, sono facilitati nel rappresentare la tridimensionalità degli oggetti.

[iv] Nella sua villa di Ravenna (villa Chigi-Pagnani), vero e proprio museo, sono presenti opere di M. Moreni, K. Appel, A. Tàpies, E. Vedova, G. Mathieu.

[v] B.Buscaroli Fabbri, nel saggio introduttivo relativo al catalogo della mostra di Pagnani intitolata Palafitte, ci ricorda che nel contemplare l’architettura industriale, l’artista coglie dalla prima avanguardia in Italia: il Futurismo.

Aggiungerei che Pagnani coglie dal futurismo anche nell’estrarre frammenti in modo istantaneo dal caos contemporaneo.

L’inserimento degli oggetti di varia natura su quadro invece, trova i suoi precedenti in K. Schwitters (come ci ricorda B. Buscaroli Fabbri) e più avanti in R. Rauschenberg.

[vi] Il Futurismo.

[vii] Infatti, il lavoro di Petrosillo riesce ad evocare, grazie soprattutto al significato espressivo del colore dettato principalmente dai Fauves, la magia di un ambiente sognato.

[viii] Non và mai comunque dimenticata l’importanza della sua formazione artistica in territorio ravennate.

[ix] Se per Petrosillo, il riferimento a Chagall era dovuto soprattutto al colore, qui è dovuto sia alla scelta dei soggetti, sia al modo orientalizzante con cui sono rappresentati.

[x] Tratto da una lettera di Claudio Spadoni a Battistini.

[xi] Ciò grazie alle teorie cubiste e all’assunzione in pittura di materiali estranei come il collage.

[xii] E’ un procedimento che utilizzerà anche H. Moore. Và detto che Bottazzi, nella sua percezione arcaica e primitiva, considera la scultura una forma naturale proprio come lo scultore inglese.

[xiii] L’esperienza di metalmeccanico riveste un ruolo cruciale sia nella vita che nell’arte di Brunelli; da qui, viene la scelta dei materiali da utilizzare.

[xiv] Mostrandoci come il sacro abiti “ognuno di noi mortali”.

[xv] Le sue opere possono essere realizzate sia in piano che in rilievo, ma sempre su carta, spesso invecchiata.

[xvi] Nei suoi paesaggi, ad esempio, le case non appoggiano al terreno, i dadi raffigurati rappresentano la fatalità, ecc……..

[xvii] Così come la serie dei piccoli disegni accennata in precedenza.

[xviii] Sia nell’utilizzo delle parole, sia nell’utilizzo del collage.